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“Shock antistatico. Il post-punk italiano 1979-85” di Stefano Gilardino

by PE1994

Shock antistatico” racconta tramite una ricerca minuziosa tra le fonti e una raccolta delle voci di alcuni protagonisti quello che è stato in Italia il periodo successivo alla rivoluzione musicale, culturale e di costume portata dal punk. In Italia la provocazione punk arrivò tardi, in sostanza quando in Gran Bretagna era già cosa vecchia, un movimento non capito da un Paese in cui ogni cosa era fortemente politicizzata e la provocazione mal vista a prescindere. Allo scadere degli anni ’70 molti giovani, spesso protagonisti o vicini a quella scena, ansiosi di trovare nuovi stimoli e attenti a quanto stava avvenendo oltremanica e oltreoceano, provarono a proporre nel vecchio stivale le nuove sonorità sperimentali che stavano prendendo forma all’estero. Partendo dai tre accordi la musica si evolveva sperimentando suoni inediti conditi da tastiere, sintetizzatori, fiati e tanta originalità, stava nascendo un movimento definito genericamente post-punk. Mentre nel resto del mondo prendevano la scena Joy division, The Pop Group, PIL, Bauhaus, Magazine, Siuxie and the Banshes, Devo, anche in Italia quindi centinaia di ragazzi e ragazze abbracciavano il nuovo credo e partendo dal loro garage formavano gruppi dai nomi improbabili che incontravano grandissime difficoltà per portare il loro messaggio e la loro esigenza urgente di esprimersi a più gente possibile.

Il racconto di “un viaggio geografico-sonoro ” nell’Italia di fine anni ’70 – inizio anni ’80, epoca in cui non esisteva nulla per tenersi in contatto che non fosse una cabina del telefono o una lettera postale, non può che essere fortemente legato al territorio di provenienza di ogni band, luogo di nascita, di “crescita” e soprattutto di lotta per sopravvivere all’apatia e conservatorismo. Le conoscenze e i contatti con le altre realtà italiane erano poche e avvenivano magari sfruttando qualche annuncio sulle riviste a distribuzione nazionale (Rockerilla ad esempio) o sulle fanzine (“Sewer“, “Nuova Fahreneit punkzine“) oppure recandosi fisicamente ai pochi concerti o festival organizzati. Tutto come per il punk partì (o proseguì) ancora da Bologna “la metropoli di Provincia” come la definiva Freak Antoni, che raccoglieva in sè “frustrazioni, tensioni politiche, grandi idee, violenza, rabbia, voglia di cambiamento…”. Nel capitolo dedicato all’Emilia Romagna si parla quindi di Skiantos, Gaznevada, Stupid set, Windopen, Confusional quartet, Rats (da Spilamberto, in copertina del libro il chitarrista Wilko, foto di Red Ronnie), Metal Vox, Absurdo e tanti altri attraverso l’inserimento delle voci di alcuni protagonisti o studiosi di quel periodo come Alessandro Raffini, Paolo Bertrando, Marco Bertoni, Oderso Rubini.

Ed è proprio quest’ultimo che scommette sulla scena punk e successivamente su quella post con la sua Harpo’s Bazaar, che pubblica Skiantos, Sorella maldestra e Gaznevada. Rubini è stato una figura centrale nella nascita e nello sviluppo della scena punk e new wave italiana, non solo un produttore discografico ma anche un promotore culturale, coinvolto in vari aspetti della scena musicale bolognese. La Harpo’s bazaar in realtà nasce per documentare con audio e video quello che sta accadendo in strada e nelle cantine di Bologna. Successivamente Rubini fonda insieme a Giovanni Natale la Italian records che è stata a sua volta fondamentale nella diffusione della musica new wave e punk in Italia durante gli anni ’80, rappresentando una delle principali piattaforme per questi artisti innovativi e fuori dagli schemi. Basti ricordare che per la Italian uscirono la raccolta delle band di Pordenone “The great complotto“, Gaznevada “Sick sountrack” e Confusional Quartet, e senza i personaggi che gravitavano attorno alla Italian non sarebbe mai stato organizzato il festival Bologna rock del 2 aprile 1979.

Ad avere un ruolo importante per promuovere questi suoni al pubblico ci fu anche la Cramps records una delle etichette discografiche indipendenti più influenti nella storia della musica italiana, fondata nel 1972 a Milano da Gianni Sassi, insieme a Sergio Albergoni, Giorgio Calabrese e Franco Mamone. Cramps Records ha svolto un ruolo cruciale come ponte tra le sperimentazioni degli anni ’70 e le nuove espressioni musicali pubblicando una pietra miliare del periodo come la compilation Rock ’80 che raccoglie i singoli fatti uscire dai gruppi di quella scena emergente tra punk e sperimentazioni ci sono Skiantos, Wideopen, Kaos Rock, Kandeggina gang

Un capitolo fondamentale è quello della scena lombarda che contava tra gli altri Chrisma/Krisma, Decibel, Kaos Rock, Kandeggina gang e anche il meno catalogabile in questo calderone Faust’ò. Già il primo album dei Chrisma uscito in periodo punk si distanziava dal suono grezzo di quel genere per andare a scoprire sintetizzatori, tastiere e chitarre filtrate e quindi aprendo alla sperimentazione. La storia della band di Maurizio Arcieri e Christina Moser è assolutamente da leggere e Stefano la racconta anche attraverso le loro voci, fondamentale anche la parobola dei Decibel del famoso Enrico Ruggeri che passano da fare da spalla agli Adam and the ants, il primo vero concerto punk a Milano, a pubblicare “Vivo da Re” prodotto da Shapiro con suoni new wave elettronici e contenente il singolone Contessa.

Punto di riferimento per l’evoluzione del punk a post punk italiano a Milano fu il ruolo del Centro Sociale Santa Marta dove provavano i Kaos Rock di Gianni Muciaccia band più in vista della scena locale che si inventò pure una Lista Rock per partecipare alle elezioni amministrative a Milano. Parallelamente alla loro parabola si svolse quella delle Kandeggina gang di Jo Squillo, anche loro di base al Santa Marta e poi al Teatro Miele occupato. Entrambe le band con i loro protagonisti in diverse vesti partendo dal grezzo e primitivo suono punk rock poi passarono a sperimentare suoni post punk elettronici (Kaos) e elettropop (Jo Squillo).

La scena post punk della Toscana regala i due gruppi nati in questa stagione che successivamente ebbero maggior successo cioè i Diaframma e, sembra incredibile, i Litfiba di Piero Pelù. Negli anni ’80 la loro Firenze prende il testimone da Bologna come epicentro della rivoluzione musicale e culturale. Non spoileriamo nulla e lasciamo raccontare al libro la storia dell’esplosione di queste due band.

Passiamo invece al capitolo successivo nel quale c’è forse una delle storie più sorprendenti del punk e post punk italiano e cioè il Great Complotto di Pordenone. Gilardino cerca di spiegare perchè Pordenone, una cittadina di 50 mila abitanti sia diventata così importante per questo movimento nonostante i gruppi abbiano inciso in proprio pochi dischi e come simbolo epocale resti solo una compilation come “The Great complotto” uscita per Italian records e ristampata nel 2014 da Spittle. La storia del punk a Pordenone comincia con la testimonianza di Ado Scaini, personaggio chiave e deus ex machina del movimento e membro di Tampax e 001 Cancer, che sarà segnata dall’incontro con 2 compagni di leva appassionati di punk come Miss Xox (Clockwork Orange e Hitlerss) e Willy Gibson (Tampax), teatro delle prove dei gruppi era il Tequila, appartamento in pieno centro. Una storia incredibile quella del Great Complotto basti ricordare il fantomatico “concerto” a Londra quando la delegazione pordenonese mise in scena uno show improvvisato sotto il ponte di Acklam a Portobello distruggendo tutti gli “strumenti” che leggenda racconta fossero “di cartone” e facendosi eleggere il peggior gruppo sbarcato in Inghilterra da “Time out”. Partita dal punk più grezzo la storia del Great Complotto poi si addentrerà a livello musicale appunto nella new wave elettronica e nella sperimentazione futuristica.

Una parte interessante tra i capitoli del libro è quella dedicata ai gruppi che nascevano nella provincia sperduta delle piccole cittadine o addirittura paesi, contesti estremamente diversi dalle metropoli urbane, e una di queste storie riguarda il Friuli con i Detonazione da Udine (no wave-jazz), i formidabili e genuini Mercenary god da Gemona del Friuli (!) (punk rock), i Sex di Kermit dei Mercenary tra Gemona e Udine (post punk) e i No suicide di Pankrazio di Udine. Di Kermit e della sua storia di punk di provincia è uscito da poco un interessante libro intitolato appunto “Provincial Punk” per Goodfellas. Nella provincia sperduta ancora povera o vittima di calamità naturali come il Friuli post-terremoto del ’76 riempiono di ammirazione le storie di minorenni che con strumentazione di fortuna e tanta passione si mettevano a suonare punk e poi post-punk sapendo benissimo che sarebbero stati odiati da tutto il paese.

“Fuori dai radar e dalle rotte più canoniche c’erano vita, talento, agitazione culturale, voglia di emergere”, e così Stefano Gilardino ci porta a scoprire le decine di band del Veneto (Frigidaire Tango, Vindictators, Evabraun, No submission, Wax Heroes, Ruins, Death in Venice, Plastic host…) ma anche le piccole realtà di Marche, Abruzzo, Umbria, Campania, Puglia Basilicata, Sicilia, Calabria a cui vengono comunque dedicate pagine approfondite.

Non dimentichiamo di ricordare che ovviamente c’è un capitolo dedicato al Piemonte e in particolare a Torino, città dormitorio cresciuta all’ombra della fabbrica in cui tutta la cultura e la vita sociale era controllata dalla sinistra. Durante il periodo punk nascono le fanzine di Johnson RigheiraSewer” e di Marco Tax Farano “Disforia” e la compilation Torinoise, ma poche saranno le testimonianze di band di questo genere mentre la scena piemontese si aprirà subito alla new wave (Teknospray, Carmody, Monuments, Suicide dada, Deafear…) e con maggior successo e riconoscimento all’hardcore.

La Liguria ci regala uno dei gruppi più importanti del genere e cioè i Dirty actions di Gianfranco “Johnny” Grieco (fumettista e illustratore padre del “Cazzillo“), la punk band (con influenze poi new wave) di Genova che fece da supporto ai Damned a Milano “tra impianti di amplificazione rotti, episodi violenti e un repertorio sempre più ricco di classici come Tira la Boccia, Figli del demonio , Rosa shocking e Attenti agli ottanta.” Ad arricchire il quadro ligure i Scortilla, The Tapes, Lisfranck e altri oscuri nomi.

Nella capitale a movimentare il periodo post-punk ci furono tra i tanti i Trancefusion di Vittorio Tedesco Zammarano e gli Elektroshock di Augusto Calaiori, questi ultimi con l’album Asylum uscito per la Numero Uno, etichetta casa di Lucio Battisti acquisita dalla RCA. Chiudiamo questa recensione di questo interessantissimo libro proprio con un ricordo del leader dei Transfusion, una delle prime punk band di Milano poi trasferitasi a Roma che ci racconta il clima di quegli anni:” Suonammo al Paleur nel novembre del 1978, aprendo per Eugenio Finardi, davanti a 6.000 persone. Almeno 500 erano lì per noi, e appena saliti sul palco, i punk in prima fila cominciarono a lanciarci di tutto, persino un elenco telefonico inzuppato d’acqua… A un certo punto un pugno di ferro mi sfiorò la fronte e io incazzato andai da Roberta, l’organizzatricee le chiesi dove cazzo fosse la sicurezza. Mi rispose che stava fermando dieci anarchici che volevano darci fuoco! La ringrazia, tornai sul palco e finii il concerto”.

Il libro per fortuna è condito da un’utilissima discografia consigliata, da una folta bibliografia e da bellissime foto alcune delle quali sono state utilizzate per questa recensione. In campo punk rock, post punk e sottoculture le uscite di raccolte, ristampe e testi interessanti già da un pò di anni si moltiplicano. Confesso che la lista dei libri che ancora mi mancano all’appello sia lunga e tra questi c’era “Shock antistatico. Il post-punk italiano 1979-85” di Stefano Gilardino, uscito nel 2021 per Goodfellas collana Spittle. Ma la fortuna alle volte bussa alle porte: al Punk rock raduno incontro l’autore e presentandomi timidamente esprimo tutta la mia ammirazione per i suoi scritti uno dei quali recensito qui sul blog (“Il quaderno PUNK. 1979-1981” Fabrizio e Stefano Gilardino“) e vengo ricambiato con in regalo proprio il testo che mi mancava. Grazie è dire poco!

recensione di Alessandro De Biasio

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