Approfondimento e intervista di Walter Montagna (basso dei Right Profile).
I Minus Hero sono una band che si muove sull’asse Roma/Amsterdam formata da “ragazzi” che hanno militato tra gli altri con Think About, Nofu, Nappies, Twister, Bravo e The Majors. Le loro uscite e l’attività live sono condizionate dalla distanza e dal tempo ma questo ostacolo sembra portare solo vibrazioni positive. Dal 2019 in cui sono nati hanno pubblicato tre EP: “Evelyn” (giugno 2019), “Songs about leaving” (maggio 2021 su Flamingo rec) e “From down to dawn” (Giugno 2023 per Flamingo rec., Cats Clawn, White russian, Punk Rock Radar). Per fan di Husker du, Jawbreaker, Dinosaur Jr, Superchunk, Samiam e del filone alt/indie/post hc anni ’90, ma non solo…
Questo articolo non nasce come un’intervista ma come un approfondimento…forse è ambedue le cose insieme, mi è però parso subito chiaro, mentre lo progettavo e ci ragionavo, che rappresentava innanzitutto l’espressione di un bisogno comunicativo e di condivisione, se una frase del genere non suonasse quantomeno pretenziosa e vuotamente magniloquente.
Il fatto è che quando ti capita di ascoltare per la prima volta un gruppo, magari solo per caso o per curiosità, e vieni invece risucchiato in un mondo sonoro che ti travolge e ti coccola, facendoti sentire come quando arrivi finalmente a casa in una sera di pioggia dopo un ritorno a piedi e senza ombrello, avverti l’incontenibile istinto di approfondire cosa ti stia succedendo e cosa sia lo strano surplus di energia che ti sta scorrendo nelle vene, giocando a solleticarti i neuroni, mentre rilascia endorfina e dopamina. Lo abbiamo provato tutti, e varie volte, e lo proveremo ancora, se le sliding doors della vita si apriranno di nuovo nei pressi della stazione “Satisfaction Achieved”. Questa stessa casualità della possibilità di ottenere il sempre desiderato “rinforzo positivo” fa di noi ascoltatori appassionati, criceti in corsa dal tempo limitato e dall’ inconoscibile destino, una strana e per certi aspetti tenera razza di individui desideranti: si va in giro per piattaforme e webzine, piccioni vaganti a caso nella immensa piazza virtuale e affamati cronici di emotional-cookies, alla ricerca di sempre nuovi Frankenstein musicali capaci di rifocillarci con ennesime ricombinazioni creative di quello che ci piace.
I Minus Hero hanno provocato in me esattamente tali sensazioni e riflessioni. Esistono in Italia band capaci di riproporre, non dico solo il suono, ma soprattutto l’attitudine onnivora e trans-genre di band che hanno marchiato a fuoco la storia di quello che una volta si chiamava garage rock, poi college rock, post hc, indie rock, alternative, emocore e via ancora di chissà quante altre etichette, buone a prezzare oscuri dischetti in vendita su ancora più improbabili banchetti di qualche ormai antiquaria fiera del physical recording?Domande legittime quando per una vita ti sei nutrito di musica, ascoltandola e facendola in prima persona, chiedendoti quanto dietro di quella che sceglievi ci fosse di personale, di urgente, di appassionato per chi la suonava… Quel che invece accade a lasciar scorrere la musica del quartetto dall’improbabile quartier generale sull’asse Roma/Amsterdam, è che ci si dimentica proprio dei suddetti generi, scene, codici e paletti produttivi/comportamentali. E il surplus brain-addictive che fa la differenza ogni volta che la scintilla si accende sta proprio in questo salto emotivo-affettivo: la capacità del gruppo di parlare direttamente al nostro desiderio di connessione e fulfillment.
Estetica = scienza delle sensazioni. Sembrerebbe proprio che i Minus Hero sappiano metterci le mani bene sul nostro mondo percettivo/reattivo: improvvisamente abbiamo concreta testimonianza del proverbiale poiein greco, il saper fare, poi divenuto (guarda un po’) radice della altisonante parola “poesia”. Fin qui l’umile analista/amatore, di seguito la parola agli stregoni. Aggiungere altro sarebbe filologia scolastica.
Walter: I vostri dischi, pur inserendosi nel solco di una genealogia in altri paesi ben consolidata (Husker Du, Dinosaur JR, Jawbreaker, The Get Up Kids…), risultano “oggetti sonori” abbastanza inconsueti nel panorama discografico DIY italiano, dominato principalmente da ripetizioni di modelli garage/pop/r’n’r punk o di fast and furious hc. Siete in contatto con altre realtà italiane che perseguono una via a un alt/rock meno ortodosso e omologato nelle scelte di suono e songwriting?
Siamo a conoscenza di varie realtà in Italia che stanno cercando di promuovere questo tipo di musica, dal revival 90’s a situazioni più emo, ma purtroppo non siamo in contatto con loro. Credo che siamo percepiti come “troppo punk” o semplicemente non siamo riusciti a raggiungerli. Per lo più, da quello che capiamo esternamente, si tratta di collettivi costituiti da ragazzi e ragazze più giovani di noi che seguono quel filone di emo principalmente cantato in italiano e che strizza un po’ l’occhio a quel songwriting alla Fine Before You Came. Perciò effettivamente, purtroppo, non c’entriamo molto. Ci dispiace perché sembra che questo sottobosco sia foltissimo e ci incuriosisce molto. Da parte nostra, per cercare di attirare un po’ di attenzione su questo “genere/non genere” abbiamo creato il Flanella Collective, insieme ai nostri amici Swear di Genova e a Luca del Loops studio, dove registriamo. Questo collettivo appunto si occupa di fare mini recensioni di band, per condividere le cose che ci piacciono, perché in primis noi stessi facciamo fatica a trovarle! Speriamo davvero che in qualche modo riusciremo a riunire, o quantomeno accomunare le varie piccole scene, perché di roba interessantissima ce n’è molta in giro ed è un peccato che non ci si conosca!
2 – Quanta importanza hanno i testi per voi? Di cosa preferite parlare nelle canzoni generalmente?
A questa domanda preferiremo rispondesse Luca (voce e basso) che scrive tutti i nostri testi. Luca:personalmente i testi per me valgono tantissimo. Se ascolto una canzone stupenda, ma il testo è banale o buttato lì a caso, non riesco a valorizzare la canzone; è come se fosse un’opera incompleta, come se qualcuno si sia fatto 499 km a piedi, per poi prendere un taxi all’ultimo km. Penso che molte volte il testo venga visto come una decorazione, come se bastasse la melodia per fare il lavoro che la voce dovrebbe fare. Ma per me non è abbastanza. Spendo molto tempo a cercare di trovare il miglior modo per esprimere quello che sento e quando ascolto dei pezzi che mi piacciono, vado subito a cercarne il testo per capire il tipo di sfumature che sono state date e scelte. Solitamente vedo la stesura di un testo come un momento catartico per autoanalizzare una situazione, una sorta di seduta dallo psicologo. In base a quello che scrivo, come lo scrivo e come decido di adattarlo, cerco di scavare dentro di me per capirmi meglio. Infatti i testi parlano di cose e circostanze in cui mi ritrovo, o mi sono ritrovato personalmente. Il più delle volte, purtroppo, l’ispirazione viene da fatti o eventi negativi, ma sto cercando di cominciare a canalizzare anche le energie positive nella stesura dei testi. Da questa riflessione viene il titolo (del secondo EP, nota mia) “From Down to Dawn”, inteso come toccare il fondo, fino all’alba, ovviamente in senso metaforico, scorgere il sole in lontananza, come una sorta di rinascita.
3 – E’ evidente la vostra ispirazione alt/indie/post hc/emo di scuola early 90’s USA, scena in cui tanta importanza hanno avuto posizioni di netta differenziazione da un punk e da un hc oltranzisti e barricaderi negli atteggiamenti ma massificati e conformisti nei risultati. Bob Mould (vostra evidente influenza, sia da solo che con gli Husker Du) amava citare una frase di John Lennon “Revolution starts at home, preferably in front of your bathroom mirror”. Che ne pensate di un pensiero del genere in tempi di “necessaria” rivoluzione e di frammentazione e virtualizzazione del vivere sociale?
Non possiamo non essere d’accordo con il vecchio Bob. Come band cerchiamo di mettere i rapporti umani al primo posto, suonare per noi è una scusa per conoscere persone affini o meno, specialmente in un mondo virtuale come quello di oggi. Non cambieremo il mondo, ma almeno cerchiamo di vivere la musica in modo meno spersonalizzato possibile, sperando di trovare realtà simili alla nostra e rimanerci in contatto.
4 – Raccontateci qualcosa della cordata di etichette che sta dietro le vostre uscite (in particolare l’ultima). Come vi muovete in ambito di promozione e di booking? Esiste ancora un circuito solido per proposte come la vostra, dopo la frammentazione liquida dei mercati (anche underground) con la disponibilità assoluta sul web di qualsiasi proposta e dopo il ciclone Covid?
Con la Flamingo Records di Genova siamo entrati in contatto qualche anno fa durante un nostro concerto, è stato amore a prima vista da parte loro e da lì in poi, ci hanno sempre supportato su ogni uscita e per praticamente ogni data che abbiamo avuto a Genova. Mentre con le altre (Cats Claw, White Russian e Punk Rock Radar) gli abbiamo mandato i nostri pezzi e hanno accettato di co-produrci. Nonostante l’inizio della nostra collaborazione sia nato in modo abbastanza impersonale e freddo (il tutto si è sviluppato via email) siamo sempre rimasti in contatto con le etichette e cerchiamo di supportarle e promuoverle, ma, soprattutto, abbiamo costruito un rapporto più personale con loro, che è la cosa che ci interessa di più. Oltre all’Italia ci tenevamo ad avere un’etichetta in Olanda (per ovvi motivi), in UK e in USA (dove forse la nostra musica viene accolta da orecchie più allenate) e ci siamo riusciti!
Per quanto riguarda booking e promozione, siamo totalmente DIY, ma stiamo facendo davvero tanta fatica. Probabilmente tutti i nostri amici, conosciuti da situazioni con i nostri rispettivi gruppi precedenti, ci hanno ospitato e organizzato date ormai. Al di là di questi contatti, stiamo provando a contattare direttamente locali o bands, ma con davvero scarsi risultati. Talmente scarsi che più di una volta, dopo anni e anni di duro e puro DIY con le nostre rispettive band, abbiamo pensato di affacciarci al mondo delle booking, ma con un grande amaro in bocca e molte domande in testa. Siamo ancora molto indecisi sulla questione, ma anche molto stanchi di continuare dei soliloqui con locali e posti, che se sei fortunato, ti rispondono con un “No”, ma solo dopo ripetute sollecitazioni. Come dicevamo anche in precedenza, la nostra proposta musicale non è né carne, né pesce, e questo ha delle sfaccettature positive e negative. La cosa positiva, è che ci siamo trovati a suonare in situazioni più hardcore e probabilemente anche grazie ai mille big muff che utilizziamo, non siamo risultati dei pesci fuor d’acqua. Lo stesso per quanto riguarda situazioni molto più punk rock/ramones core. La cosa negativa però, è che non identificandoci in un genere predefinito e non seguendo degli stilemi, ci ritroviamo fuori da ogni “giro”, che poi è quello di cui avremmo bisogno per evitare di finire in pasto alle booking. Un bel circolo vizioso insomma.
5 – Trovo molto interessante il vostro live acoustic at Loops Studio. E’ chiaramente qualcosa che avete preparato ad hoc eppure esalta alcune dinamiche e incastri che poi in elettrico sono, ovviamente, potenziate dai riverberi di ampli e di stratagemmi di ripresa e mix. Come ci avete lavorato e cosa pensate del risultato finale?
Vivendo a distanza la maggior parte delle cose che facciamo sono preparate all’ultimo. Anche in questa occasione siamo arrivati in studio e abbiamo arrangiato la cosa sul momento, senza pensarci troppo. L’unica cosa su cui ci siamo soffermati è stato cercare di capire, appunto, come fare la chitarra solista, pensando che se l’avessimo fatta acustica, avremmo perso quella vena “shoegaze” che contraddistingue i pezzi registrati “elettrici” e siamo strafelici del risultato finale!
6 – I gruppi che costituiscono le vostre influenze storiche muovevano passi esplorativi in territori fin lì sconosciuti e non praticati dai fratelli maggiori del primo punk: così facendo rimarcavano il proprio rifiuto di un passato conservatore ma erano, appunto, dei pionieri assoluti. Voi che invece quell’attitudine l’avete ampiamente metabolizzata, prima ancora di mettere insieme il progetto Minus Hero, nella formazione stessa di ciascuno di voi, cosa pensate di aggiungere oggi alla ricerca virtualmente senza confini del cosiddetto alt/rock?
Questa domanda ci ha dato un po’ da pensare. L’ambizione di fare qualcosa di nuovo nel 2024 sarebbe davvero coraggiosa. La sperimentazione musicale che c’è stata negli ultimi 70 anni ha già dato i suoi frutti e ha già detto molto. Più che ricercare qualcosa di nuovo, la nostra aspirazione è quella di non risultare banali, e con tutto l’oceano di band e musica che c’è in giro, questo potrebbe essere un traguardo più che irraggiungibile, ma ci proviamo!
7 – Come funziona la gestione della vita di una band che si muove sull’asse Roma/Amsterdam (ritmi, metodi di lavoro, possibilità di confronto meno diretto rispetto a chi vive e lavora nello stesso posto…)?
Funziona! Ma funziona in modo complicato e frenetico. In pratica ogni volta che il cantante/bassista torna in Italia cerchiamo di organizzare prove/live/registrazioni e quant’altro. La cosa positiva è che avendo poco tempo, siamo costretti a essere concentrati e stare sul pezzo. Ogni volta che ci ritroviamo però è una festa, ma la cosa negativa è che il tempo non è mai abbastanza e vorremmo vederci più spesso. Per la stesura dei pezzi invece ci mandiamo delle bozze per via mediatica e cominciamo a lavorarci. Se possono, i componenti che sono in Italia (divisi tra Roma e Latina) si incontrano a casa o in sala prove cercando di rifinire le canzoni, ma non sempre riescono a vedersi. Nella maggior parte dei casi i pezzi vengono chiusi il giorno prima di entrare in studio e le rifiniture finali vengono proprio fatte in fase di registrazione. Grazie a dio, Luca del Loops Studio è un nostro amico, ha molta pazienza e ci conosce bene. Per dirti un paio di aneddoti: “Songs About Leaving” è stato provato in sala prove per la prima volta dopo che era già uscito sul supporto fisico, essendo stato concepito durante la pandemia. In “From Down to Dawn”, dato che la sfiga ci perseguita, nei giorni fissati per le registrazioni il nostro batterista è stato poco bene, perciò abbiamo registrato prima le chitarre, basso e voci e solo un mese dopo le batterie. Speriamo che per il prossimo disco non ci siano altri inconvenienti del caso!
8 – Di cosa vi occupate nella vita di tutti i giorni? Età media e provenienza “formativa” (musicale ma anche esistenziale, if you like…) dei vari membri del gruppo?
Più o meno l’età media della band si aggira intorno ai 35/45.
Il bassista/cantante si occupa di logistica, uno dei chitarristi lavora nel mondo del cinema e della tv occupandosi di fonia, il batterista fa il creative director per un’agenzia di pubblicità e l’altro chitarrista si occupa di grafica e illustrazione. Questo è quello che facciamo per vivere, purtroppo non siamo così famosi per vivere di Minus Hero!
Ci siamo conosciuti nell’ambiente musicale romano, incrociandoci ai concerti punk e hardcore.
Suonavamo in diverse band, Think About, Nofu, Nappies, Twister, Bravo, The Majors, per citarne solo alcune, perché sono state veramente tante e alcuni di questi gruppi sono tutt’oggi attivi.
Non essendo giovanissimi, viviamo queste realtà da veramente tantissimi anni, dai centri sociali ai piccoli club, ogni pavimento per dormire era nostro.
L’hardcore, come il punk rock, sono stati generi fondamentali per la nostra crescita, sia come persone che a livello musicale, la miriade di esperienze che ne sono fuoriuscite, ci hanno formati e (forse) ci hanno reso persone migliori di come potevamo essere.
9 – Quali altre forme del pensiero contemporaneo (letteratura, cinema, arti visive…) vi interessano oltre la musica, se ciò avviene? Quanto e cosa, eventualmente, di questi altri stimoli confluisce nell’elaborazione del vostro immaginario sonoro e attitudinale?
Bene o male, visti i nostri lavori, siamo tutti appassionati di arte, cinema e di tutto il mondo che gira attorno alle arti visive. Pensiamo per esempio, che l’artwork di un disco, sia una componente importante per una band e purtroppo spesso questi aspetti vengono sottovalutati.
Notiamo che alcuni gruppi magari investono molto (giustamente) nel proprio sound, ma poi risparmiano su quello che dovrebbe essere una sorta di loro biglietto da visita, ovvero la propria immagine, come ti presenti al pubblico.
Per il disco “Songs About Leaving” abbiamo stampato personalmente tutte le copertine in serigrafia, una ad una, cercando di dare a ogni copia, una sfumatura diversa di colore, in modo da creare una serie limitata di 150 copie, finita poi nella collana di 10” della Flamingo Records, chiamata “Blue Feelings”
A parte questo esempio, pensiamo che avere una conoscenza di quello che ci ruoti intorno a trecentosessanta gradi, sia molto importante. In fin dei conti, la musica non è altro che un’espressione di ciò che siamo e sarebbe limitante non guardare oltre.
10 – Il lavoro in studio, immagino, sia un aspetto molto meditato per il tipo di proposta sonora che offrite agli ascoltatori. Raccontate, se vi va, dinamiche di lavoro e scelte stilistiche particolari su cui vi ritrovate a riflettere quando è ora di registrare cose nuove (Presa diretta vs. track by track, suono panoramico o direzionale, lavoro di banco in post o di ampli e pedaliere in ripresa, etc…)
Come abbiamo anticipato in qualche domanda fa, ci siamo sempre affidati a Luca del Loops Studio di Latina (a eccezione del primo EP “Evelyn”) amico di vecchissima data e con una grande pazienza. Siamo stati i primi a lavorare nel suo studio appena aperto e ne siamo molto orgogliosi e felici. Il suo studio (per ora) è una stanza 4×4 metri, perciò abbiamo sempre registrato traccia per traccia per questioni logistiche. A breve Luca si sposterà in uno studio più grande e con l’occasione vorremmo approfittarne per registrare i nuovi pezzi in presa diretta. Di solito lui ci fa dei suoni stupendi e noi cerchiamo di rovinargli il lavoro perché vogliamo che i nostri pezzi suonino malissimo! Grazie a Luca, riusciamo a trovare sempre un buon compromesso, ottenendo un risultato migliore di come l’avremmo immaginato. Davvero, consideriamo Luca il quinto Minus Hero, ci ha aiutato a trovare il sound giusto. La nostra preoccupazione principale quando registriamo è quella di non farsi prendere troppo la mano dai milioni di possibilità che può offrirti uno studio, cercando di avere un prodotto finito riproducibile anche dal vivo.