Il punk degli inizi conteneva una dicotomia fortemente contradditoria. Da un lato c’era la spinta a essere se stessi, per non ricadere nello stereotipo che era diventato il rock da classifica. Dall’altro i segni di caratterizzazione visiva (trucco, abbigliamento, capelli) erano facilmente replicabili anche da chi non aveva piena coscienza del significato degli stessi, favorendo l’omologazione.
Se le successive generazioni possono aver privilegiato l’utilizzo di quei codici espressivi più per far parte di un gruppo che per desiderio di autoaffermazione, nella realtà americana con un retroterra culturale completamente diverso dall’Inghilterra e con le peculiarità della propria struttura sociale è capitato che band nascessero non tanto per quello che avevano in comune, ma per quanto ognuno di loro, con la loro specifica personalità, fosse un pariah, un outcast, un loser del proprio ambiente sociale.
I Descendents da questo punto di vista sono un esempio perfetto.
Bill Stevenson, un ragazzone sovrappeso con un umorismo bislacco e una passione smodata per la pesca. Frank Navetta, una bomba pronta a esplodere pieno di risentimento per il padre e di disprezzo/senso di inferiorità per i suoi pari età. Tony Lombardo, un tipo solitario che ha superato i 30 e passa il tempo libero nel suo garage a suonare il basso con dei pesi da sub intorno al braccio destro per dare più potenza alle pennate in battere.
“Nel 1982 Frank mi invitò a casa sua per la festa del ringraziamento, penso volesse farmi conoscere suo padre. Mr. Navetta era un uomo di successo, che si poneva obiettivi ambiziosi ma era molto deluso da suo figlio Frank e passò la sera a insultarlo” Joe Carducci – We got Power
“He’s just a pain in the ass/he’s a thorn in my side/why can’t he leave me alone?/instead of running my life?” Frank Navetta – My dad sucks
Navetta e Lombardo sono compositori prolificissimi come dimostrano i primi due dischi della band. La loro permanenza nel gruppo però termina nel 1985. Navetta raggiunge il punto di rottura e neanche lo sfogo del suonare riesce ormai a placare i demoni che lo assillano. Abbandona la band durante un concerto, da fuoco alle sue cose e parte per l’Oregon. Lombardo davanti alle pressanti richieste di andare in tour di Stevenson, lascia il gruppo. Non se la sente di lasciare il lavoro, la donna con cui vive e ha da poco comprato casa per cui necessita di entrate fisse. Gli altri del gruppo, che hanno quasi la metà dei suoi anni, non hanno questi vincoli/esigenze e proseguono senza di lui.
I rapporti però non si interrompono. Nel 1991 arriva il disco “solista” di Tony Lombardo (New Girl, Old Story) in cui gli ALL suonano come backing band. Quando i Descendents si riuniscono per pubblicare “Everything Sucks” nel 1996, l’anno in cui nelle classifiche regnano Offspring e Green Day, sia Navetta che Lombardo partecipano con un pezzo a testa. In questo modo Stevenson, che ha sempre fatto in modo che ai due arrivino le royalites dei dischi venduti, garantisce loro un’ulteriore piccola quota di ricavi.
Nel 2002 Stevenson invita il duo nello studio per registrare canzoni dei primissimi anni della band (1977-1980). In quel periodo i pezzi sono ancora delle piccole esplosioni di energia e spesso non hanno la forma-canzone che troverà la sintesi perfetta in “I don’t wanna grow up”.
Queste canzoni vengono oggi finalmente pubblicate su Walnut and 9th (https://goo.gl/maps/7ZHJfJM4sVFpjYWS9).
Il titolo richiama il garage dove agli inizi il gruppo si riuniva per provare. Tra gli episodi più pregevoli del disco ci sono Nightage, Tired of being tired, I’m shaky, Mohicans, Like the way I know e To remember. Le altre sono filler che se fossero limitate a 2 o 3 in un intero disco si farebbero ascoltare ma qui il numero è decisamente superiore e in alcuni punti appesantiscono il lavoro finale. Ci sono anche due pezzi di Dave Nolte, che con Navetta aveva costituito il primo nucleo della band ma che dovette abbandonare il gruppo quando i suoi fratelli maggiori gli chiesero di concentrarsi solo sulla loro band, i Last, che aveva appena pubblicato il loro 33 di debutto L.A Explosion.
Del periodo vengono ripescati anche due pezzi del primo 7”, “It’s a hectic word” che sembra ispirata ai Devo e “Ride the wild” che nella versione originale aveva un suono molto più sixties (l’influenza dei Last si fa sentire), qui invece viene un po’ appiattita dal cantato di Auckerman.
In conclusione, Walnut and 9th non è il “grande disco perduto” dei Descendents perchè mancano le composizioni di Aukerman e Stevenson. Se al posto di canzoni deboli come “Grudge” e “Lullaby” ci fossero state composizioni di Bill e Milo avremmo un capolavoro al livello di Milo Goes to collage (non dell’inarrivabile I don’t wanna grow up). Ma considerato che il disco è anche un omaggio allo scomparso Navetta e che ai Descendents non si può non voler bene, da aficionados questo è un disco da avere!!
Voto finale
per i Proud and the Few: 4 stellette su 5
Per il resto del mondo: 2,5 su 5
Ps. Parlando di pezzi inediti non possiamo non chiederci quando saranno pubblicate ufficialmente le outtake del periodo Enjoy che girano su bootleg già dagli anni 90
Recensione di Marco Cicchella